Prosegue il confronto tra sindacati e amministrazione della P.S. sul delicatissimo tema della prevenzione e gestione del “disagio” tra gli operatori di Polizia. Un confronto serrato in cui le diverse competenze e sensibilità vengono costantemente messe a fattor comune per definire i migliori standard per l’attivazione, come nel caso di specie, di procedure di supporto psicologico in caso di eventi critici afferenti al contesto lavorativo. Finalmente, sono state definite in maniera chiara ed univoca le linee guida e gli specifici protocolli che dovranno essere attivati in caso di evento critico di servizio, inteso come “situazione lavorativa che ha implicato morte o minaccia di morte o gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o altrui..”, da cui derivi un distress, altrimenti noto come “stress negativo”.
Al di là degli aspetti specificatamente tecnici, demandati agli psicologi della Polizia di Stato, ci pare di grande importanza aver definito in maniera standardizzata “chi fa cosa, come, dove e quando”. Un primo significativo quanto inedito passo nella giusta direzione, di cui riteniamo dover sottolineare l’importanza. Ovviamente occorrerà coinvolgere preventivamente tutta la comunità degli psicologi territoriali, affinché si realizzi la piena e convinta condivisione del progetto e, soprattutto, sarà necessario predisporre una capillare attività informativa – formativa dei dirigenti, allo scopo di superare resistenze, riluttanze o insensibilità rispetto al tema.
In questa prima fase, quindi, sono stati predisposti dei protocolli che individuano con estrema chiarezza le procedure del flusso comunicativo per l’attivazione dell’intervento di emergenza psicologica (sia a richiesta del dirigente che, a seconda dei casi, d’iniziativa del Servizio di psicologia); è stata altresì descritta la procedura di richiesta di intervento, nonché i protocolli generali e specialistici relativi ad eventi critici di servizio e quelli per la comunicazione del lutto per adulti e minori. In altre parole è stata definita la “rete comunicativa” (che va dall’ufficio di Gabinetto della questura alla Direzione Centrale di Sanità) che dovrà essere attivata in caso di ferimento o morte di un collega, soccorso a conoscenti, eventi con più morti o feriti gravi, grave ferimento o morte di un bambino, persone gravemente ustionate o mutilate o incastrate e gravemente ferite.
Ovviamente siamo solo all’inizio di un lungo percorso, che prevede la predisposizione di ulteriori protocolli per l’attivazione dell’intervento di emergenza psicologica in caso di suicidio, incidente stradale o disastri. Grazie al lavoro del “tavolo”, pertanto, inizia a prendere forma il contorno di un’attività finalizzata al perseguimento del benessere psico-fisico di colleghe e colleghi, soprattutto nei momenti di maggiore bisogno connessi e/o conseguenti ai più disparati eventi critici di servizio o anche familiari, in grado di generare stress. Tra questi ultimi possiamo annoverare, a titolo esemplificativo, i problemi legati all’organizzazione del lavoro, alla progressione in carriera, agli alloggi di servizio, alle aspettative economiche, a procedimenti disciplinari/penali/amministrativi o anche ad una separazione particolarmente traumatica.
Lo scopo ultimo è quindi quello di prendersi cura dei colleghi “in difficoltà” fin dal primo insorgere di una qualunque condizione di “fragilità psicologica”, senza che questo “affidarsi” agli psicologi della Polizia di Stato possa mettere minimamente in discussione la prosecuzione del rapporto di lavoro. L’attività informativa e formativa dei dirigenti – anche nella loro qualità di datori di lavoro – diventa quindi fattore decisivo anche se, ad onor del vero, la predisposizione di protocolli standardizzati e procedure sistematizzate di psicologia dell’emergenza, dovrebbe ridimensionare il rischio di insuccesso di queste iniziative, laddove a farsene carico dovessero essere dirigenti con scarsa sensibilità verso questi delicati bisogni dei propri dipendenti.
Il “tavolo” ha quindi condiviso la necessità di continuare su questa strada, per arrivare a definire un quadro complessivo di tutele, in cui l’ascolto continuo e di prossimità degli operatori dovrà diventare centrale nelle politiche finalizzate a garantirne il benessere.