La Consap incassa l’endorsement del Capo della Polizia sul tema della previdenza integrativa, un diritto denegato che la Confederazione Sindacale Autonoma di Polizia, aveva segnalato fin dall’elezione di Cesario Bortone a Segretario Generale Nazionale, il 22 giugno 2019 e che con il Consiglio Nazionale del 25 giugno u.s., ha collocato un altro tassello importante di una battaglia sindacale che la Consap sta combattendo senza incertezze e senza illudere colleghe e colleghi con “onerosi” ricorsi collettivi.
Il Consiglio nazionale del 25 giugno ha segnato anche, la seconda occasione in pochi mesi, in cui il Capo della Polizia accettato l’invito del nostro segretario generale. “Un rapporto di conoscenza e di reciproca stima – ha detto il prefetto Gabrielli – mi lega a Cesario Bortone e poi io, dove si riuniscono i poliziotti, se invitato, vorrei sempre esserci”; così ha esordito il Capo dopo aver ascoltato la relazione del segretario generale nazionale, nel suo saluto davanti ad una sala colma, ma correttamente a distanza, come detta la nuova normalità imposta dal rischio pandemico.
Con riferimento all’attivazione del fondo di previdenza integrativa per salvaguardare il potere di acquisto dell’assegno pensionistico pericolosamente assottigliatosi, dopo le riforme del sistema, ha visto la totale condivisione del Capo della Polizia “…ma non vi nascondo però che le risorse economiche in questa fase di recessione non faciliteranno questo progetto che mi vede totalmente dalla vostra parte”
La Consap così incassa un autorevole sostegno in questa battaglia che è stata intrapresa con forza e convinzione fin da l’elezione del nuovo segretario generale nazionale al congresso straordinario del 22 giugno 2019, dove con una lettera agli iscritti il Segretario Generale Nazionale della Consap motivava cosi la richiesta del nostro sindacato:
Cari colleghe colleghi e dirigenti sindacali
Gli esiti dell’ultimo Congresso nazionale che ha portato alla mia elezione mi inducono ad una profonda riflessione scaturita nell’incontro avuto con tutti voi.
Fatto salvo il mai sostituibile ruolo avuto dal nostro leader storico Giorgio Innocenzi, nella Consap che io ho definito più volte 2.0 si sta registrando un gratificante e sostanziale abbassamento dell’età anagrafica di dirigenti ed iscritti, a sindacalisti poliziotti vecchi stanchi forse demotivati e soprattutto prossimi alla pensione, sono subentrati dirigenti sindacali giovani e motivati e relativamente lontani dal pensionamento.
Ecco proprio di pensione vorrei parlare con un excursus sulle riforme che l’hanno colpita e sugli scenari futuri, che certo non preoccupano le vecchie cariatidi ma sono importanti per chi come me e come molti di voi dovranno attendere un decennio ed oltre per raggiungere la quiescenza e quindi cominciare a vivere con l’assegno di base erogato dall’Inps.
L’aggressione al potere d’acquisto del nostro assegno pensionistico si è sviluppato con una serie di riforme che hanno determinato un passaggio epocale dal sistema retributivo a quello contributivo, questa riforma in pejus sono state appesantite da una serie di fattori sociali che si sono profondamente modificati in maniera irreversibile.
Il sistema retributivo infatti faceva perno su alcuni fattori sociali che lo rendevano sostenibile, una minore aspettativa di vita con conseguente riduzione degli anni di pensione, un tasso di disoccupazione relativamente basso che favoriva il ricambio generazionale ponendo in capo ai figli le pensioni dei padri e una natalità superiore o molto prossima alla percentuale di ricambio generazionale e soprattutto su un prodotto interno lordo superiore a quello attuale.
L’inversione di tendenza di tutti questi fattori sociali e il crollo verticale della ricchezza del paese, già nel 1995 avevano indotto il legislatore a paventare un possibile collasso del sistema ed è così che nasceva la cosiddetta Riforma Dini che segnava le tappe per il passaggio dal sistema retributivo al contributivo creando un cuscinetto temporale in cui i due sistemi si sovrapponevano nell’arco della vita lavorativa il cosiddetto regime misto. A seguire nel 2012 con la riforma Monti Fornero l’area mista è stata ulteriormente assottigliata con la conseguenza che il regime contributivo si applica a tutti a partire dal 2012.
In termini pratici questo equivale a dire che se l’assegno pensionistico retributivo garantiva una percentuale dell’80 dello stipendio con l’attuale sistema l’assegno andrebbe a garantire poco più del 50%.
Insomma rischiamo di andare in pensione con un assegno di base pari alla meta di uno stipendio già per se stesso insufficiente a garantirci un congruo stile di vita.
Questa eventualità era stata presa in considerazione dal legislatore che infatti nel 2005 con un decreto legislativo il 252 paventando la necessità di un secondo pilastro previdenziale dava facoltà al datore di lavoro ed ai lavoratori di aderire ad un fondo di accantonamento a doppia partecipazione per integrare l’assegno pensionistico.
Ad oggi il nostro Dipartimento non ha mai avviato un accordo di fondo pensione con nessun istituto creditizio al punto che qualora il singolo collega non vi abbia provveduto da solo decidendo di rinunciare ad una parte dello stipendio per l’accantonamento.
E per questo che uno dei primi atti che ho voluto compiere a tutela del personale rappresentato e dagli iscritti del sindacato è stato quella di sollecitare un chiarimento con una lettera inviata al Ministero dell’Interno per conoscere nel dettaglio quali siano i passi che la nostra Amministrazione intenda fare in questo senso.
Come Consap siamo fermamente convinti che la scelta di non scegliere su questo tema sta arrecando gravissimo nocumento a tutti i colleghi e le colleghe, un danno ancor più drammatico in quanto non quotidianamente percepito ma che sta maturando inesorabilmente alle nostre spalle ed è tale da pregiudicare seriamente il nostro futuro soprattutto in quella fase della vita in cui saremo antropologicamente più deboli. (Roma 23 giugno 2019)
Emozione e condivisione sono stati i canoni del discorso del Capo della polizia alla platea del Consiglio Nazionale che attraverso la Consap ha voluto ringraziare tutti i poliziotti, donne uomini, per il loro comportamento e per lo spirito di servizio dimostrato durante l’emergenza sanitaria poi visibilmente colpito dal video messaggio di Nicola Grimaldi, trasmesso in sala, che dal suo letto d’ospedale ringraziava tutti per il sostegno avuto dopo che con motu proprio e libero dal servizio, si è opposto ad una banda di rapinatori restando gravemente ferito: il Capo della polizia ha detto: “… in questo poliziotto ed in questa vicenda, vedo tutte le caratteristiche per parlare senza retorica di eroismo.
I lavori del consiglio nazionale sono stati preceduti dalla riunione dell’esecutivo nazionale, che ha approvato il bilancio e accolto la ferma volontà espressa da Bortone, di rispettare il dettato statutario celebrando ogni anno un consiglio nazionale. Gli oltre 50 delegati Consap giunti a Roma, numero condizionato dal protocollo di sicurezza, grazie al supporto tecnico di Alessandro Marini responsabile per le attività multimediali del sindacato, hanno potuto ascoltare in videochiamata: il segretario provinciale di Caltanissetta Antonio Patti, il segretario provinciale di Napoli Giuseppe Marra e la responsabile dell’osservatorio nazionale per il ruolo sanitario della Consap Maria Pagano da Torino.
Fra i temi fortemente caldeggiati, per una soluzione rapida c’è stato il paradosso del trasferimento a seguito di vincita di concorso: “… lo abbiamo detto chiaramente al Capo, oggi, ed in altre occasioni negli incontri con i dirigenti preposti – ha incalzato Bortone- è un suicidio operativo trasferire fior fiore di professionisti in ambiti operativi diversi, dopo aver speso risorse e mezzi per formarli, punendoli. di fatto, per aver progredito seppur minimamente e comunque legittimamente, nella qualifica”, una questione che ha scaldato molto la platea con il caso di Paola Russo un sommozzatore specializzato del Cnes e segretario provinciale della Consap di La Spezia che ha rischiato il trasferimento in questura; “…la formazione professionale – ha concluso Bortone – è un limite all’intercambiabilità dei poliziotti, lo stesso sta avvenendo anche con i reparti mobili dove dovremmo farci sentire per scongiurare il rischio di svilimento delle qualità professionali specialistiche”.
PERCHE’ UN FONDO DI PREVIDENZA INTEGRATIVA
Un po’ di Storia
Fino alla cosiddetta Riforma “Dini” del 1995 1 il sistema pensionistico era per tutti a “Ripartizione”:
– il pensionato percepiva una pensione che era una percentuale – circa l’80% – dello stipendio, quindi, svincolata dai contributi versati dal singolo pensionato nel corso della sua vita lavorativa;
– i lavoratori in servizio con i loro contributi pagavano le pensioni ai pensionati (con la speranza che un giorno, i lavoratori futuri avrebbero pagato le loro pensioni. Le pensioni dunque erano calcolate tenendo conto della retribuzione del pensionando e quindi il sistema di calcolo prende il nome di sistema retributivo.
– il pensionato percepiva una pensione che era una percentuale – circa l’80% – dello stipendio, quindi, svincolata dai contributi versati dal singolo pensionato nel corso della sua vita lavorativa;
– i lavoratori in servizio con i loro contributi pagavano le pensioni ai pensionati (con la speranza che un giorno, i lavoratori futuri avrebbero pagato le loro pensioni. Le pensioni dunque erano calcolate tenendo conto della retribuzione del pensionando e quindi il sistema di calcolo prende il nome di sistema retributivo.
Questo sistema (a ripartizione-retributivo) ha funzionato per molti anni perché talune condizioni lo rendevano possibile:
– il pensionato aveva un’aspettativa di vita minore (quindi meno anni di pensione);
– indice di natalità più alto, più giovani, rapporto giovani/anziani più alto;
– tasso di occupazione più alto.
– il pensionato aveva un’aspettativa di vita minore (quindi meno anni di pensione);
– indice di natalità più alto, più giovani, rapporto giovani/anziani più alto;
– tasso di occupazione più alto.
Con gli anni questi parametri sono cambiati (aumenta l’aspettativa di vita, cala il numero dei giovani, si invertono le proporzioni giovani/anziani) e si giunge così alla Riforma Dini del 1995 che crea un forte conflitto intergenerazionale perché dividerà i lavoratori in tre categorie “padri”, “figli” e “nipoti”.
- I “padri” sono i lavoratori che al 31-12-1995 avevano più di 18 anni di contributi: ad essi continuano ad applicarsi le vecchie regole del calcolo retributivo e del sistema a ripartizione.
- I “figli” sono coloro che a quella data hanno meno di 18 anni di contribuzione: ad essi si applicherà un sistema cosiddetto “misto”, retributivo fino al 31-12-1995, contributivo per gli anni successivi.
- I “nipoti” sono coloro che iniziano a lavorare a partire dal 1/1/1996: ad essi si applica il sistema contributivo puro, la loro pensione sarà strettamente legata all’entità dei contributi versati e dunque agli anni di contribuzione.
La riforma Monti-Fornero del 2012 estenderà il sistema contributivo a tutti a decorrere da 2012 facendo diventare “misti” anche i padri (ma solo dal 2012).
Il sistema contributivo è meno generoso del sistema retributivo. Ci sono molte proposte di legge nei cassetti di Camera e Senato che vorrebbero introdurre una sorta di contributo integrativo a carico dei pensionati “retributivi” sulla parte di pensione percepita in misura maggiore rispetto al sistema contributivo, questo per evidenziare quanto è attuale questo argomento.
Se il sistema retributivo garantisce al pensionato una pensione che sfiora l’80% della retribuzione precedentemente percepita come lavoratore (tasso di sostituzione della retribuzione con la pensione), si stima che il sistema contributivo riesca a garantire un tasso di sostituzione intorno al 50-60% della retribuzione.
Ecco perché all’indomani della riforma Dini, circa 10 anni dopo, si comincia a parlare di previdenza complementare, disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico il cui scopo è quello di integrare la previdenza di base obbligatoria o di primo pilastro. Essa ha come obiettivo quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base.
La previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione integrativa.
La posizione individuale del lavoratore risulta costituita dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare e dai rendimenti ottenuti, al netto dei costi, attraverso l’investimento sui mercati finanziari dei contributi stessi. Essa è ovviamente collegata, oltre che all’ammontare dei contributi versati e dei rendimenti ottenuti, alla durata del periodo di versamento.
Sono previste, inoltre, una serie di agevolazioni fiscali, riconosciute anche a favore dei familiari fiscalmente a carico, che rappresentano un’ulteriore opportunità di risparmio.
Il lavoratore contribuisce ad alimentare il proprio conto individuale (di 2° pilastro) con una percentuale anche minima della sua retribuzione annua e può aggiungere anche il TFR annuo. Parimenti il datore di lavoro contribuisce con una altrettanta minima percentuale della retribuzione (che è aggiuntiva alla retribuzione corrente) versata direttamente sul conto individuale del lavoratore.
Al momento dell’età pensionabile il lavoratore percepirà una pensione aggiuntiva ed integrativa di quella di base, 1° pilastro Inps, che gli consentirà di continuare ad avere un tenore di vita simile a quello condotto durante il servizio lavorativo.
I versamenti alla previdenza integrativa sono deducibili dal reddito imponibile. La tassazione della rendita finanziaria (la pensione integrativa) è soggetta ad una tassazione agevolata. E’ possibile chiedere anticipazioni nel corso della vita contributiva, etc..
L’ultimo atto legislativo su questo tema è una sentenza del Tar della Puglia su un ricorso proposto da un militare contro il Ministero delle Difesa che come il Ministero dell’Interno non ha mai attivato un fondo di previdenza integrativa, nel dispositivo della sentenza emesso il 18 giugno scorso e che riportiamo in stralcio, il giudice amministrativo individua il danno, chi ha violato la norma, il meccanismo risarcimento e la percentuale di responsabilità dell’ente pubblico:
Il problema in argomento, a distanza di oltre vent’anni, non è stato ancora risolto. (omissis)
Lo strumento per compensare le negative ripercussioni economiche che il ricorrente denuncia di subire dall’inerzia nell’attuazione della previdenza complementare è rappresentato dal risarcimento del danno, in quanto la legittima aspettativa della estensione del regime di previdenza complementare per il comparto pubblico assurge a situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela anche innanzi al Giudice monocratico delle pensioni della Corte dei conti (omissis)
Sotto il profilo sostanziale, poi, il danno derivante dalla mancata attivazione della previdenza complementare si configura, nella specie, come “ danno futuro”, le cui conseguenze si manifestano non nell’immediato, essendo il ricorrente tuttora in servizio, bensì all’atto del pensionamento, in quanto il tempestivo avvio dei fondi pensione avrebbe generato un montante più elevato rispetto al mancato esercizio dell’opzione, oltre che consentire un risparmio in termini di tassazione IRPEF in virtù di un maggiore ammontare deducibile (profilo di danno che, peraltro, esula dal presente giudizio).
Ai fini di quantificare il danno patrimoniale riferibile al montante accumulato fino a tutt’oggi, tenuto conto che la durata del giudizio non deve andare a detrimento della tutela richiesta dal ricorrente, la metodologia più corretta è quella di mettere a confronto il montante in regime di TFR, ossia in caso di avvio tempestivo del fondo pensione e contestuale esercizio dell’opzione, con quello in regime di TFS, ossia in caso di mancato avvio del fondo. Per determinare il montante degli optanti occorre quantificare, da un lato, l’ammontare della contribuzione che sarebbe stata apportata al fondo e, dall’altro lato, i rendimenti che si sarebbero conseguentemente realizzati, avendo a riferimento i rendimenti del fondo “Espero” in quanto unico fondo negoziale in essere per i dipendenti pubblici con una serie storica sufficientemente lunga, dal 2007, e, nel periodo anteriore, la media ponderata dei rendimenti del paniere dei tredici fondi negoziali individuato dal D.M. Economia e Finanze del 23 dicembre 2005.
La mancata attivazione della previdenza complementare è senz’altro imputabile pro parte – nella misura del 25% – al Ministero della Difesa, che sarà tenuto a calcolare il danno patrimoniale subìto dal ricorrente, applicando i criteri sopra indicati, nella misura percentuale innanzi indicata.
1 La legge 8 agosto 1995, n. 335 (“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”)